23.3.13

Educazione siberiana - La recensione


Dopo la banda della Magliana, quella di Fiume Basso


"Un uomo non può possedere più di quanto
il suo cuore non possa amare"

Prendi un evocativo contesto storiografico, piazzaci un grande attore (John Malkovich), aggiungici la banda della Magliana, schiaffaci in mezzo il sosia russo di Russel Crowe e fai girare/mescolare tutto da un grande regista (Gabriele Salvatores).

Il risultato?
Deludente, sotto tutti i punti di vista.

Forza, sotto a rimboccarci le maniche.
Perché deludente ?
I motivi sono tanti e disparati. Partiamo dalla storia in sé e per sé. In tutta onestà non ho letto il libro, quindi mi attengo a ciò che ho visto sul grande schermo.
La storia è quanto mai frammentata tra la narrazione principale (in un' epoca contemporanea) e continui flashback che raccontano periodi diversi dell'infanzia e dell'adolescenza dei protagonisti.
Descritta così potrebbe avere un senso logico ma, fidatevi, un senso di continuità questo film non ce l'ha. I continui flashback (che durano svariato tempo) tendono a confondere la storia principale (sempre se di storia principale si possa parlare) per due motivi.

-durano troppo e sono troppo slegati con il plot primario

-al livello narrativo, hanno dei buchi che la faglia di Sant'Andrea non potrebbe eguagliare in profondità


Vi faccio due esempi di questi famigerati buchi. La scena del casinò sulla barca e il fiocco celeste, ritrovato magicamente.
Chiunque abbia ragionato per più di cinque minuti su questi due particolari (eravamo in quattro, giuro), ha visto spuntare sulla propria testa un enorme punto interrogativo. E' così quando il film è un mistery, ma così mistery, che manco perdono tempo a spiegartelo.
I protagonisti sono mosci e l'antagonista mi è sembrato un bambino di quattro anni a cui hanno tolto le caramelle. Malkovich (nella veste del nonno dei due protagonisti) fa più da narratore che da partecipatore attivo agli eventi. E da solo, mi dispiace dirlo, non basta a risollevare la baracca.

Ma parliamo del doppiaggio italiano.
In una parola, inspiegabile. Capisco e approvo film come Romanzo Criminale o Vallanzasca, in cui tutti gli attori si attestano al dialetto del luogo di origine. Bene, se dunque il setting è posto in Siberia, mi aspetto che se uno comincia a parlare russo all'inizio del film, lo facciano poi tutti gli altri. Ebbene, perché solo i protagonisti parlano italiano corrente e gli altri, compreso Malkovich, sembrano appena usciti da un cartone animato?
Aberro all'idea che sia stato scelto di doppiarli così per un fatto puramente numerico di battute. Mi è arrivato precisamente questo messaggio: se parli tanto e hai l'accento russo, sembri più un disadattato che uno tosto.
La fotografia e la regia è buona (ci mancherebbe altro) e la sceneggiatura non sarebbe poi così malvagia se accompagnata da un briciolo di più di azione.
Più che criminali, i Siberiani mi sono sembrati filosofi da strada.
Peccato, però. Il film ha retto la corda per quindici minuti: il tempo che il contesto storico (tremendamente interessante) scemasse in un vortice di insulsaggine, grigiore e prevedibilità dichiarata.
Mi sarei aspettato tutto ma non questo (poi dici perché non paghi il canone alla Rai). Perché questo film è marchiato Rai, sia chiaro.
Un bellissimo autogol in rovesciata nella porta del cinema italiano, insomma, con annessi insulti dei tifosi e dei telecronisti.
Non è bastato un buon Malkovich per dare lustro e splendore ad un qualcosa che poteva essere decisamente narrata meglio.

Mio personale Oscar va al film intero. Proprio così: entra prepotentemente nella mia personale classifica, spodestando un record che durava ormai da cinque anni.
Si piazza primo, a diverse lunghezze di vantaggio sulla seconda posizione occupata da Jumper, e sulla terza occupata da Superman Returns, nella mia personale classifica dei film-da-evitare-come-la-peste.
Io vi ho avvertito.


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