Perché, chiederete voi.
Massima espressione del cinema hollywoodiano?
No, affatto.
Il motivo è perché, quando non scrivo sul blog o in giro, anche io ho una ragazza. E sapete bene tutti, che il femminismo ogni tanto vuole il suo tributo.
In pratica, se avete una donna e contemporaneamente c'è Leo al cinema, sono letteralmente Gatsby vostri.
Ma partiamo con la recensione vera e propria.
La storia è liberamente ripresa da Il grande Gatsby, di Francis Scott Fitzgerald, ma questo lo sapevano pure le pietre di campo. Il protagonista, Gatsby per l'appunto, è un tipo che ha fatto i soldi (con modi non del tutto leciti) e si ritrova a lottare per entrare nella società dei vip a pieno titolo e così da poter così riscrivere il proprio passato da morto di fame.
Eh no, non sto parlando di Silvio Berlusconi.
La storia del film comincia dove il libro sta per finire, quando Gatsby (Leonardo Di Caprio) è già ricco e cerca di conquistare il cuore della bella Daisy(Carey Mulligan, la moglie di Marcus Mumford se volete proprio saperlo). Il film è ambientato in una New York degli anni Venti, volutamente esagerata in ogni suo aspetto e accompagnata da una colonna sonora anche questa volutamente esagerata e, soprattutto, anacronistica. Quindi aspettatevi Jay-Z e Lana del Rey al posto di un soft swing anni Venti.
La forza del film sta proprio qui, nella sua esageratezza spinta al massimo dalla regia.
Chi è il regista? Baz Luhrmann. Per i non addetti ai lavori. Luhrmann è quello di Moulin Rouge! (volez-vous couchez avec moi?) e Romeo+Juliet, tutti film a matrice canteresca.
Un regista del genere non avrebbe potuto dare un impatto visivo al film diverso da quello che è stato. Con il suo budget da 120 milioni di dollari, Il Grande Gatsby è stato definito una follia monetaria. Si parla sempre di una commedia, non di un film di fantascienza alla Cameron.
Ma, ribadisco, che la bellezza intrinseca di questo film è proprio questo.
Le musiche martellanti, gli effetti scenici e visivi fuori dal normale, il continuo cadenzare di scene normali e grandi e fastose feste poste a contrasto tra loro, i festoni che esplodono in ogni punto dello schermo, i colori talmente vivaci da richiamare alla mente zone esotiche.
La visionarietà alla base del film è l'essenza stessa della pellicola, quasi che in alcuni momenti i dialoghi e la sceneggiatura (secca ma essenziale) sembra sia messa da parte solo per far raccontare il film al film stesso.
Per quello che riguarda il cast, un nutrito gruppo di attori più o meno avvezzi guidati sotto l'egida di Messer Titanic.
Il Gatsby, che non deve essere confuso con
Garfield
o con i Grisbì,
è interpretato da Leo le Magnifique.
Come sempre, impeccabile nella recitazione, Leo non lascia spazio a sbavature e non carica troppo un personaggio dai tratti semplici e definiti. Non bisogna dimenticare che parliamo sempre di un morto di fame che ha fatto i soldi al superenalotto, in pratica, e Di Caprio questo l'ha capito benissimo.Vicino a lui l'ex-Spiderman raimiano Tobey Maguire che del film è il protagonista (quando non viene scalzato da Di Caprio) e voce narrante. Uno che dici, oh ma questo c'ha trent'anni e da un po' che non lo vedo al cinema, e pensi chissà come è adesso.
sempre uguale, in pratica, il sorriso da scemo è rimasto lì. Quello che è cambiato è giusto un po' di barba.
Tra le attrici, l'ottima Madame Mumford che attesta su buoni livelli di recitazione ed interpretazione.
Tirando le somme, posso dire che il film mi è piaciuto abbastanza per essere fuori dal mio target naturale di generi. La piacevolezza della pellicola in sé e per sé non è la trama ma la realizzazione di essa, attraverso un universo potente ed immaginifico che personalmente non mi aspettavo.
Dai colori delle scenografie ai tagli degli abiti, nulla è lasciato al caso ma è un lavoro di preproduzione degno di un qualunque kolossal. E' vero che nascosto dietro l'angolo c'è sempre il fattore "staceppa" davanti a film che propriamente non rispecchiano i nostri generi preferiti, ma sono convinto che una guardata a Il grande Gatsby valga la pena dargliela.
Per finire, come sempre, il mio personale Oscar va (scontatissimo) a Tobey Maguire, uno che lo avevi lasciato così, nel suo momento artistico più brutto:
e lo ritrovi così, infiocchettato e impettito, fiero di sé:
Finalmente, pensi, qualcuno è riuscito veramente a vincere la propria personale battaglia contro la droga e il cattivo gusto in fatto di film.
Nessun commento:
Posta un commento